Una casa senza fondamenta

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Vorrei andare dritta al punto.
Io vado in bicicletta e le automobili mi danno fastidio; e anche i motorini mi danno fastidio, che fanno lo slalom sbucando da tutte le parti in modo imprevedibile. Vi assicuro che i ciclisti come me sono tanti, forse più di quelli che immaginate, e mi auguro che in futuro siano sempre di più. 

Vorrei strade più libere, da percorrere in bicicletta senza timori e senza rumori; un’aria più pulita da respirare. Le auto mi danno fastidio e vorrei che sulle strade ce ne fossero meno. Non tanto le auto in sosta, che in fondo disturbano poco, e inquinano ancora meno; dico piuttosto le auto in circolazione, che congestionano sempre più le nostre strade. 

Ultimamente si vuole dare alla città una nuova veste, si vuole dare più spazio alle biciclette, più visibilità, più dignità anche; si pretende che tutti i veicoli circolino più piano. Ma quali sono le prospettive di avere strade dove circolino meno automobili? Francamente non le vedo ancora. 

Basta ridurre i limiti di velocità perché le persone usino meno l’automobile?
No.
Il problema è che mancano alternative valide.
Per ridurre il trasporto su mezzi privati occorre un trasporto pubblico competitivo, che garantisca tempi di percorrenza più brevi e tempistiche certe; e non è certo il caso dei nostri bus urbani, che con Bologna 30 sono ancora più lenti e meno puntuali.
Cosa dovrebbe convincere un cittadino a preferirli alla propria auto?

È chiaro che un trasporto pubblico di questo tipo non si possa improvvisare e ancor meno realizzare in un mese. Forse allora questa visione di città sostenibile occorreva averla già alcuni decenni fa; cominciare a costruirla poco a poco. Invece ci si sta lanciando a costruire una casa senza fondamenta: il suo destino è già segnato.

Ci stanno imponendo una visione di futuro preconfezionata, cercando di convincerci che sia la migliore per noi: un progetto dove gli anziani siedono tranquilli sulle panchine (e se gli anziani non volessero stare solo seduti? se volessero muoversi?), i bambini camminano felici su ampi marciapiedi (e se i bambini volessero invece andare a scuola in bicicletta sicuri?).
Una progettazione da cui proprio i cittadini sono tagliati fuori.
Si parla di ridurre la superficie occupata dalle automobili per restituirla a ciclisti e pedoni. Ma perché oltre a considerare le “quote superficie” non si considerano le “quote tempo“? Dare cioè voce alle persone in proporzione al tempo in cui vivono gli spazi della città nelle proprie giornate, agli abitanti innanzitutto, anziché solamente a chi le attraversa di passaggio e magari anche in fretta?

Nel sito del comune leggo: “Bologna Città 30 è un nuovo concetto di città, ancora più vicina alle esigenze di tutte le persone che la abitano. Nessuna esclusa”.
Non mi sembra si stia andando in questa direzione!

Laura

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