A leggere un po’ in giro sembra che si stiano registrando alcune autorevoli perplessità riguardo alle politiche dell’amministrazione Lepore sulla nuova viabilità a Bologna, a partire da Città 30 e dalle modalità con cui la si sta realizzando, fino allo stravolgimento (che di quel piano è figlio) degli assetti stradali di tanti quartieri (con il disegno di insicure corsie ciclabili sulla carreggiata, e la perdita di numerosissimi posti auto).
“Perplessità” che, oltre a confermare i disagi che (ahimè) stiamo sperimentando sulla nostra pelle,
mettono in luce, con semplice ragionevolezza, l’importanza di saper ben distinguere tra progettualità teorica e realtà. Dote, questa, che dovrebbe essere primaria e assoluta in chi ha avuto la fiducia di rappresentanza da parte dei cittadini… ma che evidentemente si tende facilmente a relativizzare a fronte di interessi ideologici (legittimi, ma non propriamente compatibili con un’idea ampia di comunità) o di più banali accondiscendenze strategiche verso ipotetiche (quanto miopi, a nostro avviso) strizzatine d’occhio “modaiole”, di immagine più che di sostanza (che non possono essere, o non riescono ad essere, inclusive).
È sicuramente confortante venire a conoscenza del fatto che, oltre a quello della stragrande maggioranza dei cittadini, ci siano più pareri quantomeno “perplessi” (appunto) anche da parte di personalità non distanti politicamente dall’amministrazione, come quello recentissimo dell’assessore regionale Mauro Felicori (si veda ad es. qui), o quello (meno recente) del consigliere regionale di maggioranza Giuseppe Paruolo (qui), che si aggiungono alle voci dei rappresentanti cittadini dei partiti di opposizione (come Nicola Stanzani di Forza Italia, Cavedagna di FdI, Di Benedetto per la Lega… per fare solo alcuni nomi tra quelli che abbiamo avuto modo di sentire nei loro recenti interventi in Consiglio comunale). Lo stesso Romano Prodi, chiamato in causa sempre più spesso ultimamente, si è espresso (a quanto riportato dalla stampa, ad es. qui) in maniera non propriamente entusiastica sia su BO30 esteso oltre il centro storico a tutta la città, sia sulle corsie ciclabili disegnate sulla carreggiata (anche a suo dire, pare, pericolose e insicure – come del resto è evidente a chiunque abbia avuto modo di vederle).
Come queste personalità pubbliche, siamo convinti anche noi che le qualità da mettere in campo (sempre, ma ancora di più) di fronte ai “cambiamenti epocali” siano: il buon senso, la ricerca di partecipazione, la conoscenza profonda delle specificità delle diverse zone o singole strade e l’attenzione verso tutte le categorie dei cittadini.
Cosa impedisce, o ha impedito finora (a quanto possiamo constatare noi), al sindaco e a tutta la giunta e consiglieri comunali di maggioranza, di considerare queste semplici regole?
Dal nostro punto di vista di ingenui cittadini è davvero un mistero (per questo ci piacerebbe porre questa domanda direttamente agli interessati quando, come ci auguriamo, manterranno l’impegno di volerci incontrare; pronti ad ascoltare con attenzione e senza pregiudizi la loro risposta e le loro ragioni in un confronto schietto e leale).
Ci è stato fatto notare quanto le norme legislative (con particolare riferimento al Decreto Legge 76/2020), così come quanto previsto nel nuovo Piano Nazionale della Sicurezza Stradale 2030, approvato dal CIPESS su proposta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, di fatto diano pieno potere decisionale ai Comuni, e che questo li renderebbe difficilmente attaccabili sotto il profilo strettamente legale. Cosa, questa, che ci interessa il giusto dal momento che non è la strada che vorremmo percorrere, prediligendo, come abbiamo sempre detto, quella del confronto costruttivo.
Però questo non ci impedisce di chiederci: senza voler prendere in considerazione i diversi pareri tecnici (che ci sono) coi quali si pone più di qualche dubbio sulle modalità e l’attendibilità degli studi previsionali fatti, di fronte anche solo all’evidenza del malcontento generalizzato dei cittadini e delle loro legittime preoccupazioni relative ai cambiamenti “epocali” delle loro abitudini e della qualità della loro vita, davvero non si poteva fare diversamente? Davvero era necessario spingere così oltre, la discrezionalità del sindaco nell’applicare le possibilità normative concessegli? È questo il modo migliore di lavorare per il bene comune? Si pensa davvero che il compito di una amministrazione sia quello di “educare” i propri cittadini imponendo scelte che si pretendono “giuste” senza alcuna volontà di confronto? È davvero corretto, o utile, per il buon vivere di una comunità svilire la capacità collaborativa e propositiva di una cittadinanza matura e sensibile, trascurando senza il minimo senso di “educazione sociale” le potenzialità che da essa possono scaturire?
Per tutti questi motivi, crediamo che l’unica possibilità per poter sperare in un dialogo attivo con l’amministrazione, un dialogo che si apra all’ascolto delle ragioni fin qui trascurate, e che si renda disponibile alla ricerca e alla condivisione di soluzioni alternative, anche eventualmente riconoscendo di aver commesso degli errori, l’unica possibilità concreta, dicevamo, crediamo sia quella di far sentire le nostre voci di “semplici” cittadini. Di quei semplici cittadini che continuano a essere molto, molto preoccupati per lo scadimento della qualità della vita che stanno sperimentando e soprattutto per l’impatto che esso avrà (e già ha) sulle quelle fasce più deboli della popolazione che, ahimè non per loro volere o per capriccio o pigrizia, non riescono a trovare spazio e attenzione nell’immaginario tutto rosa di una città a due ruote e senza auto che non potrà più essere (come invece dovrebbe) anche la loro città.
Per questo, e soprattutto per loro, continuiamo a dire “Bologna vuole vivere!”.
Un desiderio, un appello, che va persino oltre ogni nostro ineludibile diritto.
Roberto Anedda
Raccolta firme – Lettera aperta al sindaco
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