Spazio pubblico… per chi?

Condividi su

In giro per le vie di Bologna: una rapida carrellata tra le scelte concrete dell’Amministrazione comunale, che vanno in direzione opposta rispetto agli obiettivi teorici di “Bologna Città 30”.

“La Città 30 è una città più a misura di persona, che favorisce una maggiore equità e democrazia nell’accesso e nell’uso dello spazio pubblico. Che per definizione è lo spazio di tutte e tutti. (…) Grazie alla Città 30, le strade e le piazze torneranno progressivamente a essere un luogo plurale, di incontro, socialità, gioco…. Vogliamo che gli spazi pubblici siano accessibili e godibili anche dalle persone con mobilità ridotta come bambine e bambini, persone anziane, persone con disabilità visiva o motoria, papà e mamme con passeggino. (…) Ridisegnando lo spazio pubblico renderemo la città più inclusiva e democratica”.

Questo afferma il Comune di Bologna sul sito “bolognacitta30.it”

Per verificare se qualcosa è cambiato, e come, nei primi mesi di realizzazione del progetto, riguardo l’utilizzo dello spazio pubblico, abbiamo fatto un giro per Bologna.

Siamo partiti dal centro storico. Inizio di via Zamboni, piazzetta Ardigò, di fronte alla chiesa di San Donato. C’erano delle panchine, sono state tolte. Ora solo sedie e tavolini, un centinaio di coperti, che saturano tutto lo spazio, a beneficio del chiosco (che si è ingrandito). Prima era possibile sedersi senza consumare, ora non più. Più spazio ai clienti, meno ai cittadini.

Via Orefici, stesso schema. I tavoli per la consumazione dilagano fino al centro della strada, resta un corridoio stretto dove i due flussi (da e verso Piazza Maggiore) si incrociano a fatica. In bici non si riesce proprio a transitare, bisogna scendere. Le sedute che erano state previste ci sono ancora, ma alcune sono state inglobate dai dehors dei locali, e fungono da sedia per i clienti. Riconversione di arredi pubblici ad uso commerciale.

Ci avviamo lungo via Santo Stefano, verso la piazza. Alla nostra sinistra ecco vicolo Trebisonda, ostruito dai tavolini del locale attiguo. Per passare bisogna chiedere permesso, e si è costretti a strusciare le spalle di clienti seduti. Sembra un cortile privato, invece è (sarebbe) una pubblica via pedonale.

Potremmo continuare per molte pagine, lungo portici trasformati in sale bar, attraverso vie diventate ristoranti all’aperto, dove l’appropriazione privata dello spazio pubblico è talmente sfacciata che in qualche caso appaiono persino paletti e cordoni, per tenere alla larga i non clienti (dal suolo pubblico!)

In che modo la scelta di sostituire panchine e sedute pubbliche con dehors e tavolini di locali privati favorisce una maggiore equità e democrazia? Chi prima poteva sedersi (per riposare, per osservare meglio un palazzo, ecc…) oggi lo può fare solo pagando la consumazione. E’ questo il ritorno alla socialità? Questo favorisce anziani e bambini, passeggini e carrozzelle nell’accesso allo spazio pubblico?

Questa tendenza è confermata dalla privatizzazione “de facto” della piazza absidale di San Domenico. Uno dei luoghi più suggestivi del centro di Bologna, con i suoi anfratti architettonici e le sue scalinate, ora è chiuso da una cancellata. Richiesta pare da alcuni residenti (di cui si intuisce il censo, data la zona non propriamente popolare), che il Comune ha scelto di accontentare. Privando il resto della cittadinanza del diritto di fruire di uno spazio pubblico di pregio. Un modo per rendere la città più inclusiva e democratica?

Ci spostiamo in periferia, camminando su marciapiedi che da decenni non conoscono riasfaltatura (buche, corrugamenti, tombini sporgenti), con in mezzo pali che creano strettoie, e frequenti “Mobike” abbandonate a ostacolare il passo. Tanto da costringere le carrozzelle a scendere in strada, nei tratti dove il marciapiede è reso impraticabile, dalla mancanza di manutenzione e di controlli sul rispetto delle regole. Non parliamo poi degli anziani con il “girello”, che possono spingersi solo fino ai limiti del portico condominiale, perché fuori, nello spazio pubblico, le rotelline piccole si piantano e non permettono loro di muoversi. Spesso ci si lamenta della cattiva condizione delle strade: i marciapiedi sono messi molto peggio. A proposito di “spazi pubblici accessibili e godibili da persone con mobilità ridotta”.

C’è poi il capitolo dei cantieri stradali, che sottraggono lo spazio pubblico all’uso comune per tempi lunghi, quando i lavori effettivi durano pochi giorni. Arrivano i cartelli di divieto di sosta e sgombero, il nastro bianco e rosso; dopo qualche giorno i lavori iniziano, poi si interrompono, e per giorni il cantiere è deserto. Recinzioni e transenne restano per settimane, con lavori fermi. Sono spazi sequestrati all’uso pubblico non per ragioni di interesse collettivo, ma solo di organizzazione e comodo delle imprese esecutrici. Con catene infinite di subappalti, quei subappalti imputati di peggiorare le condizioni di lavoro, criticatissimi dai partiti che amministrano Bologna, ma a cui il Comune di Bologna ricorre ordinariamente. Un esempio? In un cantiere stradale di via Belle Arti, questa la “cascata”: il Comune ha appaltato ad Hera, che ha sub-appaltato a Inrete, che ha sub-appaltato a CEA che ha sub-appaltato a Edilconte, la ditta effettivamente intervenuta. Cercare un responsabile per problemi relativi allo spazio pubblico durante e dopo i lavori non è facile, in questa situazione. Che non ci sembra favorire l’equità e la democrazia.

Arriviamo al parco don Bosco, in zona Fiera, una delle più cementificate della città, dove il Comune intende cancellare l’unica oasi verde con alberi ad alto fusto, allo scopo di demolire una scuola (che sarebbe ristrutturabile, come è già stato fatto con altri plessi identici) e sostituirla con un nuovo edificio, poco più efficiente dal punto di vista energetico rispetto al risultato di una ristrutturazione, ma molto meno idoneo dal punto di vista didattico (come hanno segnalato docenti ed esperti del settore). E soprattutto spendendo 4 volte tanto (18 milioni anziché 4,5) per una operazione che porterà sì lavoro ad alcune imprese edili, ma che ha un bilancio molto dubbio in termini di CO2 prodotta e di energia consumata (considerando demolizione, smaltimento, nuova edificazione), e certamente negativo sul piano ambientale, dato che gli alberelli di nuova piantumazione ci metteranno decenni per produrre i benefici oggi garantiti dai grandi alberi già presenti, e che il Comune vuole eliminare.

Siamo insomma davanti ad una Amministrazione che si racconta artefice di una rivoluzione green e di una restituzione dello spazio urbano ai cittadini, ma nei fatti fa il contrario: concede ad attività private lo spazio pubblico, sottraendolo ai passanti e riservandolo ai paganti. Non si cura che i marciapiedi della città siano praticabili dai cittadini con ridotte capacità di movimento. Nella gestione dei lavori su aree pubbliche si comporta come il più cinico e indifferente tra i privati. Non si accorge del valore di uno spazio pubblico verde come il parco don Bosco, e calpesta la volontà di migliaia di cittadini mobilitati per difenderlo.

Quando tale Amministrazione decide, in varie zone di Bologna, di togliere ai cittadini i posti auto, in nome di un riutilizzo più “plurale, inclusivo e democratico” dello spazio urbano, è naturale che la reazione sia negativa. Non solo per il disagio evidente che ricade su alcuni (non su tutti: chi possiede garage o posti auto privati può stare tranquillo). Ma anche per la scarsa credibilità della motivazione, alla luce dei fatti che abbiamo evidenziato e che sono sotto gli occhi di tutti.

Se poi gli esponenti del governo cittadino (dal sindaco agli assessori ai presidenti di quartiere) liquidano con sufficienza le proteste, come se l’automobile fosse un capriccio e non (in molti casi) una necessità, trattando i cittadini come bambini immaturi che si fanno dominare dalle “emozioni” (mentre loro, gli amministratori, sono solidamente ancorati alla verità scientifica), allora il clima si fa difficile.

Una classe politica arrivata ad amministrare grazie al 60% dei votanti (che sono stati il 50% degli aventi diritto) dovrebbe essere meno arrogante e più in ascolto. Bologna città 30 esprime non solo un limite di velocità, ma anche una percentuale di consenso. Sarebbe bene ricordarlo.

Bologna Vuole Vivere | 26 marzo 2024

Commenti:
[…] Articolo molto bello. Però non sottolineerei troppo la contrapposizione tra commercianti/attività private e spazio pubblico. Se ben gestita, la coesistenza è possibile. I commercianti sono anche cittadini e spesso, se sono radicati nel territorio, ne costituiscono un presidio di legalità. Purtroppo non è il caso del “parco giochi del cibo” in cui l’Amministrazione ha ormai trasformato il centro di Bologna, un tempo teatro di commercio, cultura, vita cittadina grazie ai residenti e anche ai commercianti.Elena [ Leggi tutto …]
In risposta a “Spazio pubblico… per chi?” – Bologna vuole vivere!

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *